Da qualche settimana ho iniziato a voler giocare con la poesia, per ricoprirla, ogni giorno di più, e condividerla insieme a voi. Dunque, ogni venerdì, nel mio account instagram c’è il modo giusto per diffondere non solo la poesia contemporanea e moderna bensì anche quella passata, spesso dimenticata.
Se vuoi aggiungerti a me ed alla mia community sei il/la benvenuto/a
Il giudizio degli altri, spesso, ha il potere di cambiare un po’ la propria identità.
Il sentirsi sbagliati in questa società, o, ancor peggio, quel senso di inadeguatezza in un mondo al quale sentiamo di non appartenere.
Da questo mio pensiero nasce questo articolo, che vuol essere una piccola lente verso il passato, su grandi scrittori e poeti, che a loro volta si trovano tuttora in pasto della critica e del giudizio morale.
( Premetto che non sono quel tipo di persona che approva atteggiamenti violenti tantomeno autolesionismo. )
Nel brevissimo video che ho realizzato potete trovare Alda Merini, Charles Bukowski, Giacomo Leopardi, Gabriele d’Annunzio, Arthur Rimbaud, Giovanni Pascoli, Ernest Hemingway e Charles Baudelaire.
Tengo con tutto il cuore ad infondere in ognuno di voi questo messaggio
Spesso ci spaventa la particolarità di una persona, proviamo invece a vedere quella stessa particolarità come un punto di ricchezza, che magari non ci appartiene ma non cadiamo nel giudizio. Siamo esseri umani, tutti diversi nella nostra unicità, proviamo, per una sola volta, a vedere dietro allo sbaglio di un’anima, la sua probabile sofferenza interiore.
Alda Merini
Grande poetessa ed artista, che ha avuto il coraggio di essere sempre sé stessa. Molto criticata per essersi messa a nudo, nel vero senso della parola, davanti ad un obiettivo. In quel momento, chi si è chiesto il perché del suo gesto? Voglio dire, tanto scalpore per cosa? Lo avesse fatto una bella modella non avrebbe sollevato alcun polverone. Voleva semplicemente protestare contro una pratica assolutamente dolorosa e priva di prove scientifiche sul suo beneficio, ovvero l’elettroshock. Chiamata pazza, ma soffriva di schizofrenia. Chiamata sprovveduta, ma era una donna estremamente generosa. Chiamata instabile, ma era un’anima semplicemente e grandemente sensibile.
Charles Bukowsky
Erede della “maledizione del poeta”.
Ignorato dai critici accademici.
Anticonformista ed ammiratore della letteratura elegante di “Cechov” e di quella più tenebrosa di “Kafka” piuttosto che ammiratore anche del filone “maudit” ( il maledettismo di Baudelaire ).
Scrittore che non risparmia nulla al suo lettore; breve, preciso, conciso e diretto.
Ossessionato dal sesso, in tutta la sua semplicità di vita.
In balia dell’alcool, di droghe e brutalità.
Tutto causa di un profondo malessere interiore.
Giacomo Leopardi
Un “lirico” sempre incline ad esporre se stesso.
Vedeva all’universo attraverso la luce della sua individualità.
Il poeta lunare, il poeta delle domande estreme.
“Si diceva la sua poesia fosse la contraddizione più evidente del suo pessimismo”
Anche in questo caso, criticato semplicemente per la sua personalità e per il suo pensiero.
Gabriele d’Annunzio
Una cortigiana della belle epoque definì d’Annunzio “Uno gnomo spaventoso con gli occhiali cerchiati di rosso, senza capelli, con denti verdastri e le maniere di un ciarlatano.”
Una vita privata molto chiaccherata per il suo insaziabile desiderio sessuale che fu poi la rovina delle donne che se ne innamorarono. (Rinnegate dai padri, abbandonate dai mariti, ricoverate nei manicomi)
D’Annunzio poteva trasformare la donna più ordinaria e darle, per un momento, l’apparenza di un essere celeste. Dalla cameriera voleva prestazioni di sesso orale. Da Luisa Baccora, una famosa pianista, voleva che sublimasse la sua passione per lui suonando il pianoforte.
Giudicato nella sua scelta politica e criticato per la sua vita privata.
Arthur Rimbaud
Poeta francese, ricordato come il poeta maledetto. Tra i promotori della poesia moderna.
Dopo aver posto fine ai suoi studi, a causa della guerra, iniziò il suo anticonformismo e la ribellione contro l’ordine stabilito.
Scappò da casa e venne successivamente arrestato dalla polizia.
Ebbe una relazione con Verlaine con il quale intraprese un periodo di droghe ed alcool.
Giudicato, per le sue idee, pe il suo temperamento e la sua fragilità umana.
Giovanni Pascoli
Poeta dal carattere schivo ed introverso.
“Le sue esigenze affettive, soddisfatto del rapporto con le sorelle-madri, portarono in lui quel senso del proibito che poi svolge in ogni espressione della sessualità.
Segnato dal trauma della morte del padre, iniziò a covare in sé un grande senso d’ingiustizia che lo portò ad essere costantemente spaventato dall’età adulta.
Grande rivoluzionario nella tradizione.
Una visione antipositivista della realtà.
Difficile rapporto con la modernità.
Anche lui, criticato per questa sua particolarità.
CHARLES BAUDELAIRE
Poeta parigino, esponente del simbolismo, contribuì a creare il mito del BOHèMIEN e dedito a esperienze al limite, tra l’assunzione di droghe ed il vivere di passioni strazianti. Conoscitore dell’amore peccaminoso, nella sua relazione da amante, e dell’amore mistico.
Anticipatore del Decadentismo. Ribelle ed amante dei piaceri notturni.
Una figura iconografica che segna ancora la visione dell’intellettuale e del poeta dei giorni nostri.
Deriso e criticato per la sua personalità e grande sensibilità.
ERNEST HEMINGWAY
Giornalista e scrittore, portavoce della generazione post-prima guerra mondiale.
Il padre si suicidò quando Ernest aveva ventinove anni e questo lo segnò profondamente, sentendosi in parte responsabile.
Definito ambizioso ed egoista. Quattro mogli e tre figli, per i quali indebitò ogni suo guadagno.
La consapevolezza di possedere un talento straordinario gli fece nascere in cuore uno smisurato orgoglio.
Ad ogni passo della sua vita ci fu un tradimento.
Durezza individualista e machista, evidenziata specialmente nel suo rapporto con le donne.
Attaccò il suo stesso corpo, prodigiosamente forte, che era la base delle sue certezze nella sua smania d’azione, lo espose ad incidenti di ogni sorte, ricavandone stressanti malattie e dolori permanenti.
Uomo fragile, giudicato nelle sue scelte, dovute da una forte sofferenza portata dalla fanciullezza.
( Si consiglia la lettura durante l’ascolto d brano )
Illustrazione digitale di tuffald
Cade, la luna dagli occhi. Colano frammenti d’universo che tu, tu, mi hai promesso. Poiché nessuna lacrima cade invano nell’otre dell’infinito, ne ho versate anche io, sdrucciolevoli confini stropicciati dell’anima. Cade, questa luna arsa d’amore cosparsa, cocente estate al cuore. Ed io, inerme, dinanzi all’opera tua, raccolgo me stessa da questo pavimento roccioso ed irruento. Che se t’amo non è affar nostro, ma di questa galassia che ha donato a me il tuo nome.
Cade, the moon from the eyes. Fragments of the universe are leaking that you, you, you promised me. Since no tears falls in vain in the bottle of infinity, I also poured some, slippery borders creased of the soul. It falls, this burned moon sprinkled with love, scorching summer to the heart. And I, helpless, before your work, I collect myself from this floor rocky and impetuous. What if I love you it’s none of our business but of this galaxy that he gave to me your name.
Lo sapevate che la parola “panico” proviene proprio dalla mitologia? Ebbene sì, prende nome dal dio Pan. [ Pan dal greco Paein = Pascolare ]
Dio della natura, del tutto, dei campi, dei boschi e dei pascoli. Secondo il mito greco, Pan era lo spirito di tutte le creature naturali, questo dunque lo lega alla foresta, all’abisso, al profondo, alle grotte, alle cime dei monti. Metà uomo, metà capra ( gambe e corna ), naso schiacciato, barba caprina, grandi zanne ingiallite che uscivano dalla bocca, zampe irsute e zoccoli. Una rappresentazione fisica orrenda che non rispecchiava il suo animo, in quanto era conosciuto come un dio buono, generoso e molto altruista. Diverse le teorie sulla sua nascita ma quella sostenuta da Omero dice che, Pan, nacque da Ermes ( messaggero degli dei ) e da Driode ( principessa trasformata in ninfa della quercia ). Pan non faceva parte dell’Olimpo ma la sua storia è in parte comune a quella di Dionisio, l’unico tra l’altro che lo accolse benevolmente, eh si, perché per quanto si conosce di questo mito, pare che sia stato abbandonato subito dopo la nascita proprio da sua madre ( esperienza per l’appunto condivisa anche da Dionisio ) e che proprio Ermes lo portò sull’Olimpo per presentarlo come una buffa, per far divertire gli altri dei.
Un dio solitario e “vagabondo” in quanto senza fissa dimora. Amava infatti vivere nelle selve, proprio in quei luoghi dove la sua voce era temuta. Da Pan prende appunto il nome di Timor- Panico. C’era un momento della giornata n quale nessuno doveva osare avvicinarsi, ovvero il pomeriggio, durante il suo riposo. Qualora chiunque l’avesse fatto, Pan avrebbe emesso delle urla terrificanti.
Carica sessuale elevata, sempre a caccia di ninfe ma amante anche degli uomini, come ad esempio il pastore Dafnj al quale insegnò a suonare il flauto. Inventore della sessualità non procreativa,così lo definisce Hillman, un noto psicologo americano. L’amore più “importante” o meglio, quello più celebre, fu quello con la ninfa Naiade Siringa.
Dipinto di Peter Paul Rubens
Diciamo che lei non era così entusiasta del corteggiamento di Pan, ogni qualvolta se lo trovava vicino scappava letteralmente dalle sue grinfie. Fino al giorno in cui, scappando, trovatasi sulle sponde del fiume Ladone, si gettò in acqua invocando le naiadi e pregando loro di essere trasformata in qualunque cosa pur di non essere riconosciuta da Pan, e fu così mutata in canna palustre. Pan, una volta raggiunta la sponda del fiume non la trovò più, ma, proprio lì, fu attratto dal suono emesso dal vento tra i canneti, prese una canna nel mezzo e la tagliò in sette o nove lunghezze diverse tra loro, legando le stesse tra loro con la cera e lo spago, a formare uno strumento che ora noi conosciamo come flauto di Pan o Siringa.
Tra le sue “avventure” amorose si narra il mito della seduzione di Selene. Pare che Pan usò un trucco, nascose il suo ispido pelo caprino sotto un velo candido, così mascherato la dea non lo riconobbe ed acconsentì nel salirgli in groppa. Pan si accoppiò anche con rito orgiastico con le Menadi, le quali erano le sacerdotesse del Dio, da qui considerato anche il dio-capro delle streghe.
Dipinto di William-Adolphe Bouguereau
Al di là della sua peculiare sessualità, Pan coprì un ruolo molto importante partecipando alla volta degli Olimpi contro Tifone ( mostro generato da Gea e Tartaro, dotato di grandi ali e cento terrificanti teste ). Si narra che Tifone entrò in competizione, per il dominio del mondo, con Zeus, e gli dei nel vederlo scapparono in Egitto dove presero diverse sembianze; Lo stesso Zeus si trasformò in un ariete, Dionisio in una capra, Ares in un cinghiale, Era in una vacca bianca, Afrodite in un pesce, Hernes in un ibis, Apollo in un corvo, Artemide in un gatto e Pan trasformò solo la sua parte inferiore nella coda di un pesce e si nascose in un fiume. All’inizio fu molto difficile per Zeus, ebbe la peggio, ma proprio all’arrivo coraggioso di Pan, la bestia si spaventò per il suo tremendo urlo ed Ermes riuscì così a sottrargli i tendini di Zeus, il quale si buttò, in un carro trainato da cavalli alati, contro Tifone e riuscì ad ucciderlo bersagliandolo di fulmini, in Sicilia. Zeus premiò Pan rendendolo una costellazione, il capricorno.
Secondo Plutarco, un grande filosofo, Pan fu l’unico dio che morì. Affermò la tesi di una morte inevitabile con l’inizio del Cristianesimo, il quale rifiutava la sessualità e l’istinto. Alcuni dicono che non sia però morto, ma unicamente caduto in un sonno profondo. Proprio il Cristianesimo nominò Pan come il diavolo, ossia, l’avversario dell’uomo e della creazione.
Ma voglio concludere questo articolo con questa domanda.
E se Pan non è morto? E se dorme tutt’ora dentro ognuno di noi? Chissà se questa nostra grande ricerca personale attraverso la natura ci porterà un giorno al suo risveglio, riscoprendo in noi i nostri veri istinti.
Donate e poi rubate, accarezzate e squarciate, elogiate e disprezzate, le ali di certe donne. Divenute nere, dal fumo tossico della violenza. Ornate di spine, da tutte quelle rose malate inghiottite. Aromatizzate di rabbia, dagli abusi della società. Contrassegnate dalla ruvida ed ignota gente e dalla loro omertà. Eppur si vedono ancora, tra il singhiozzo di certi giorni e la forza di sempre. Con il lume della speranza nascosto al cuore, guardano i giorni futuri. Bramandocure e fiducia, camminano, senza poter più volare. Chissà, se quel lontano futuro s’avvicinerà presto roseo. Chissà se riusciranno mai a riconquistare il diritto al volo ed il diritto all’amore.
Donate and then steal, caress and tear apart, praise and despise, the wings of certain women. Turned black, from the toxic smoke of violence. Adorned with thorns, from all those sick roses swallowed up. Spiced with anger, from the abuses of society. Marked by the rough and unknown people and their silence. Yet they still see each other, between the hiccups of certain days and the strength of always. With the light of hope hidden from their hearts, they look to the future days. Craving care and trust, they walk, unable to fly anymore. Who knows, if that distant future will soon approach rosy. Who knows if they will ever manage to regain the right to fly and the right to love.
ElyGioia Photo ( Centro Culturale San Gaetano di Padova )
Il 10 Ottobre è stata inaugurata la mostra d’arte “I colori della vita” con opere del grande pittore e scrittore Vincent Van Gogh,( e non solo ), a cura di Marco Goldini al San Gaetano di Padova. È stato davvero meraviglioso poter esservi presente, un’esperienza senza pari, tra nero e colori, tra malinconia e speranza. Per questo mi trovo qui, a condividere con voi un po’ della sua storia personale e professionale, e per rendervi partecipi del mio pensiero su questo “viaggio artistico”.
Chi era Van Gogh?
Per studiare nel profondo la sua vita devo dire che ne ho sentite davvero molte e, sinceramente, sono pochi gli articoli che, a mio avviso, ne danno una descrizione idonea e completa. Se per le strade chiedo ai passanti una definizione di Van Gogh mi rendo conto che la gente si ricorda di lui come “quel pazzo pittore che si tagliò un orecchio”, “un uomo dalle diverse problematiche mentali”, “un folle che ha avuto la fortuna di essere stato stimato”, “un pittore famoso che andava con le prostitute”. Questo perché ci sono troppe parole spese sulla sua persona che sulla sua grande arte. Mi chiedo ancora come possa una corposa ed “ingombrante” personalità sovrastare la capacità ed il grande valore artistico di una stessa persona. Voglio dire, io quando mi trovo davanti ad un suo quadro, ne rimango intrappolata, non riesco a pensare ad altro, lì in quei colori, c’è un uomo che non trova la sua giusta dimensione a questo mondo poiché ciò che ha dentro è ancora più grande e frastagliato. Per questa ragione scelgo di riportare in questo mio articolo, non tanto le bizzarre curiosità inerenti alla sua persona, quanto la sua grandezza artistica. Che poi, parliamoci chiaro, Van Gogh non è un pittore, è il pittore, pioniere dell’espressionismo. È quel talento della cui vita è ben percettibile ad ogni pennellata, così irrazionale in mezzo alla razionalità. Così confuso in mezzo ad un mondo “perfetto”, così rude in mezzo a tanta “delicatezza”. Dunque, chi è che non conosce questo uomo? Ve lo siete mai chiesti, come mai tutti, bene o male, conoscono il nome di Van Gogh?. Semplice. Lui dipingeva cose molto semplici, comprensibili ad ogni occhio umano. Nelle sue opere chiunque è in grado di riconoscerne l’oggetto rappresentato, un girasole, un volto, un campo di grano, la natura morta, una contadina stanca. Da un lato sembra quasi infantile come “schema”, per questa gran facilità di comprensione, da un lato si percepisce come invece carica ogni sua rappresentazione con una tensione talmente emotiva da rimanerne plasmati.
OPERE
Vincent Van Gogh, 1885, I MANGIATORI DI PATATE, olio su tela.
Io davanti a questo quadro, che tra l’altro credo sia il simbolo dell’inizio della sua “carriera artistica”, mi sento come invitata, attratta, catturata fin nelle viscere, non per la bellezza apparente, ma per il significato che ne è racchiuso. Vi riporto ciò che egli stesso ha scritto a suo fratello Theo su questa sua opera. ( Dal libro lettere a Theo di Vincent Van Gogh ) “Ho voluto far capire che questa povera gente che sotto una luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra da dove quelle patate sono cresciute. Evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano.” Come una storia di chi non ha grandezze né futuro davanti. Dovete sapere che Van Gogh era un grande stimatore di minatori e contadini. Suo padre era un predicatore protestante e per un periodo seguì anche lui la strada della fede. Studiò la Bibbia e guidò una chiesa come predicatore laico. Voleva essere un imitatore di Gesù Cristo, non a parole bensì a fatti. Per questo poi fu considerato troppo estremo e così venne allontanato ma sempre stimato per tutto ciò che aveva fatto per i minatori con i quali lavorava e viveva. Questo appunto è bene ricordarlo per capire quanto egli apprezzasse il duro lavoro delle persone semplici e povere e quanto era grande la sua gioia nel rappresentarle nelle sue opere. Questo quadro ci fa conoscere il Vincent Van Gogh degli inizi, la sua pittura di quei tempi, infatti, era molto vicina a quella Olandese. Daumier, poi, fu per lui un punto di riferimento fondamentale specie nelle forti caricature comuni ad entrambi, le quali erano capaci di animare il volto facendo trasparire dallo stesso la realtà di quel vissuto.
Vincent Van Gogh, 1889, I GIRASOLI, olio su tela.
Con quest’opera facciamo un salto in avanti. Troviamo Vincent Van Gogh nell’ultimo anno prima della sua morte. Quando dipinge questo quadro si trova ad Arles, posti nel quale trova felici fonti di ispirazione. Attraverso la lettura delle lettere scritte a suo fratello Theo, possiamo capire quanto gli ultimi cinque anni della sua vita siano stati per lui molto rilevanti nella pittura. Mentre prima erano i colori scuri i protagonisti ora vi è una scoperta dei colori quasi accecante, come la si ritroverà in altre opere. Realizzata tutta in un solo tono, per Vincent, i girasoli avevano un grande significato. Erano segno di protezione, di sicurezza, una carezza. Non so voi, ma trovo che questo quadro, assieme ad un’altra opera un campo di grano con volo di corvi, sprigioni una tristezza infinita. La bellezza del fiore accompagna e tocca la profonda solitudine del pittore, i petali stanchi confortano il pensiero di Vincent. Non ci si può limitare a mirarne la bellezza, c’è un estremo bisogno di sentire la vita in questa pittura.
Vincent Van Gogh, 1888, TERRAZZA DEL CAFFÈ LA SERA.
Giunto ad Arles, prese immediatamente in affitto una camera nella pensione-ristorante Carrel. Lì, quando sopraggiunse la primavera, egli produsse una tela dopo l’altra, come se temesse che la sua ispirazione, esaltata dalle novità del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Si sentiva trascinato dall’emozione, che van Gogh identificava con la sincerità dei suoi sentimenti verso la natura. Le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale erano così forti da costringerlo a lavorare senza sosta. La conosciuta foga dell’artista.
Vincent Van Gogh, 1888, LA CAMERA DI VINCENT, olio su tela.
Prese in affitto l’ala destra della Casa Gialla, una delle abitazioni più famose della storia dell’arte. In quest’edificio, ubicato nella zona nord della città, Vincent voleva fondare l’Atelier du Midi, una comunità solidale di artisti. Qui, in primis pensò a Gauguin.
Vincent Van Gogh, 1888, NOTTE STELLATA SUL RODANO, olio su tela.
“Ho passeggiato una notte lungo il mare sulla spiaggia deserta, non era ridente, ma neppure triste, era… bello. Il cielo di un azzurro profondo era punteggiato di nuvole d’un azzurro più profondo del blu base, di un cobalto intenso, e di altre nuvole d’un azzurro più chiaro, del lattiginoso biancore delle vie lattee. Sul fondo azzurro scintillavano delle stelle chiare, verdi, gialle, bianche, rosa chiare, più luminose delle pietre preziose che vediamo anche a Parigi – perciò era il caso di dire: opali, smeraldi, lapislazzuli, rubini, zaffiri. Il mare era d’un blu oltremare molto profondo – la spiaggia di un tono violaceo, e mi pareva anche rossastra, con dei cespugli sulla duna (la duna è alta 5 metri), dei cespugli color blu di Prussia. Ho fuori dei disegni a mezzo foglio e un disegno grande, che fa da pendant all’ultimo” Vincent Van Gogh.
Vincent Van Gogh, 1888, IL SEMINATORE, olio su tela.Vincent Van Gogh, 1889, NOTTE STELLATA, olio su tela.
Vincent comprese di essere malato sia fisicamente che spiritualmente e perciò, dopo l’ennesimo deliquio, l’8 maggio 1889 entrò volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico, a una ventina di chilometri da Arles.“Osservo negli altri che anch’essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l’orrore che conservavo delle crisi che ho avuto […] oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall’angoscia e dal terrore […] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo.” Dalle lettere a Theo, di Vincent. A questo periodo risalgono ben centoquaranta dipinti!.
Vincent Van Gogh, 1890, CAMPO DI GRANO CON VOLO DI CORVI, colore ad olio.
Ed arriviamo fino qui, nel 1890. Si presume questo sia l’ultimo dipinto del pittore prima della sua morte. Qui, possiamo notare come la sua pittura sia tutta un’espressione. Un quadro estremamente claustrofobico, una via che s’incaglia contro questo muro giallo che sembra esser fatto di piccoli ma taglienti aculei. Ecco l’incapacità di Vincent di sopportare la vita di questo mondo, ecco la sua fragilità, ecco il suo turbolento vivere, nero ed azzurro come il cielo che s’appoggia, quasi a soffocare il campo di grano. Qui troviamo delle vere e proprie tracce di dolore, non solo di colore. Si evince come la pittura sia per Vincent una vera e propria cura come sfogo dell’anima. Quella stessa anima incapace e stretta per quella realtà ladra di sogni e speranze. Per quanto riguarda la pittura, in quest’opera più ci si avvicina e più ci si accorge della divisione dei colori. 👩🎨 curiosità 🖼 Ho potuto apprendere da un’intervista che il restauro dei quadri di Van Gogh risulta quasi impossibile, sapete perché?. Basta pensare che Vincent aveva il “vizio” di dipingere un’opera con un solo pennello, così, di getto, senza lavarlo, potete immaginare i milioni di pigmenti che possono esserci all’interno di un solo punto di colore nella tela! Così è stato pensato un modo tutto nuovo per il loro mantenimento, ovvero, delle piccole iniezioni di silicone in quel tocco di colore che ne necessita.
Chi conosceva già la vita di Vincent Van Gogh noterà una parte mancante, dov’è finito quel pezzo di storia?. Ebbene, ho voluto serbare questa curiosità per ultima in quanto uno dei quadri che ho potuto mirare da vicinissimo e che mi ha colpito molto è proprio questo.
Vincent Vang Gogh, 1887, AUTORITRATTO.
Ebbene, torniamo indietro nel 1185 quando Van Gogh inizia a frequentare la scuola delle belle arti ad Anversa. Egli teneva molto a migliorarsi e ad imparare nuove tecniche di pittura. Lì però non viene apprezzato e di conseguenza si trasferisce a Parigi. In questa splendida città, fonte d’ispirazione per tanti artisti ancora ad oggi, vuole imparare a dipingere dei ritratti, cosa che era molto comune all’epoca. Non avendo abbastanza soldi per dei modelli il modo più semplice per lui fu quello di posizionarsi dinanzi ad uno specchio e guardarsi riflesso. Questo permise a Vincent di realizzare una grande sperimentazione delle espressioni facciali. Ogni suo autoritratto esprime totalmente la sua mente e la sua voglia di sperimentare appunto nuove tecniche. Credo che per Van Gogh, il vedersi riflesso come il dipingersi, fu più che altro un tentativo di conoscersi da sé stesso, nel profondo, e di ritrovare dentro quelle tele una giusta dimensione, almeno lì.
Devo ammettere che m’aspettavo più opere in questa mostra, di quelle almeno più decisive della sua storia. È stato altresì bello il “percorso” realizzato, accompagnato da diverse citazioni dello stesso Van Gogh che hanno reso l’atmosfera viva, in tutte le sue emozioni. Come se Vincent fosse proprio lì, a guardarci attraverso i suoi dipinti. Io ho preso i miei ricordi, a voi spetta farci una visita.
📖Biografia 📖 Vincent Van Gogh nato il 30 Marzo del 1853 in Olanda, a Zundert e deceduto alla sola età di 37 anni il 29 Luglio del 1890 ad Auvers-sur-Oise, in Francia. Pittore e scrittore, in vita non apprezzato per le sue opere. Pur essendo appassionato di disegno fin da bambino, van Gogh cominciò a dipingere solo verso i 30 anni. Le sue opere più conosciute sono quelle dipinte tra il 1880 ed il 1890, pochi anni prima della sua morte. Nel 1888, consigliato dal fratello Theo, van Gogh si trasferì ad Arles, nel sud della Francia per vivere con il pittore Gaugien, amico di Theo.Il rapporto tra i due, però non fu così idilliaco anche a causa dell’instabilità emotiva di van Gogh. Pare che, dopo un alterco avvenuto nella casa di Arles, l’artista olandese inseguì l’amico in strada con un rasoio minacciando di aggredirlo. La loro relazione degenerò del tutto quando una sera, ubriaco, Vincent scagliò un pesante bicchiere contro l’amico.Quel giorno Gauguin decise di lasciare Arles.Pare che quel forte litigio venga attribuito a Rachele, una prostituta frequentata da entrambi, conosciuta in un bordello. Nel 1889 infatti, Vincent, in preda alle allucinazioni e folle di gelosia si mozzò con un rasoio metà dell’orecchio sinistro e lo spedì a Rachele, come pegno d’amore. Qualche giorno dopo Vincent si ritrasse con una vistosa fasciatura a coprire l’orecchio mutilato.
Morì a soli 37 anni per un colpo di rivoltella, una sera tra i suoi tanto amati campi di grano, probabilmente auto inferto.
Era doveroso, da parte mia, darvi anche una breve ma dettagliata biografia, a fine articolo, dopo aver esplorato la storia di una vita penetrante a sé stessa, quella del grande pittore e scrittore VINCENT WILLEM VAN GOGH.
Ebbene si, quello che vedete raffigurato qui sopra è Aristeo, ovvero, il Minotauro ( da “Minos” che in Cretese significa Re e da “Tauro” che significa toro ). Ormai non è un segreto la mia passione per la storia e per la mitologia greca. Ad ogni modo, con questo articolo, vorrei davvero andare ancora di più in profondità rispetto alla solita leggenda narrata. Teseo ed Arianna saranno i protagonisti di questo viaggio tra le righe.
Teseo, figlio di Egeo ed Etra, visse in un piccolo paesino chiamato Trezene, in Grecia, poiché suo padre, Re di Atene, per la paura che venisse avvelenato dai cugini lo trasferì in campagna. In pratica, affermò che fino a quando il giovane Teseo non fosse riuscito a sollevare la grande roccia sotto la quale egli stesso aveva riposto la sua spada, sarebbe dovuto rimanere lì; solo dopo avrebbe potuto far ritorno ad Atene e divenirne il futuro Re. Teseo dunque divenne grande, e con la sua forza riuscì ad impadronirsi della spada. Prese il cammino verso casa ma, l’impresa non fu delle più semplici. Incontrò diversi briganti lungo il suo viaggio, ne cito tre per la loro “particolare fantasia”. Sini o Perigune, il quale tendeva agguati lungo una strada che collegava Trezene ad Atene, ovvero, aveva l’abitudine di legare i viandanti alle cime di due pini, ancorate a terra dalle corde che, una volta tagliate, lasciavano che gli alberi si rialzassero ciascuno tirandoli così su un fianco, straziando il corpo del malcapitato. Poi troviamo Procuste o Damaste, che s’appostava sul monte Coridallo, lungo la via sacra tra Eleausi ed Atene, ed aggrediva i viandanti straziandoli se troppo corti, battendoli con un martello su un’incudine, o amputandoli se troppo lunghi. Era leggermente pieno di sé, nessuno doveva essere né più piccolo né più grande della dimensione del suo letto. Tipo strano eh?. Non era da meno Scirone, il quale viveva lungo una strada posta su di una scogliera della costa Saronica, chiamata “Rocce Scirone”, ed in quel passaggio aggrediva i malcapitati costringendoli a lavargli i piedi, e così, quando chinavano il capo, li buttava in mare con un calcio facendoli successivamente divorare da una tartaruga marina. Ma, torniamo a Teseo, li sconfisse tutti sottoponendoli alle loro stesse torture ( chi di spada ferisce, di spada perisce, insomma). Arrivò ad Atene ed i nemici non mancarono neanche qui. Medea, ex donna di Giasone, come vide Teseo arrivare lo invitò per un vero banchetto, ad insaputa del padre Egeo, per fargli bere una coppa di veleno, ma fu lo stesso Egeo a salvarlo quando vide il giovane tagliare la carne posata al tavolo con la sua spada, quella famosa spada, riconoscendolo come figlio, gettando immediatamente a terra la coppa della morte ed abbracciandolo.
Ora arriviamo al punto iniziale di questa storia, facendo una breve premessa. Su Atene in quegli anni aggravava un pericolo, ogni nove anni la città doveva dare un tributo al Re Minosse ( Re di Creta ) sette ragazzi e sette fanciulle vergini. Perché?
Minosse a quel tempo non era ben visto dalla popolazione cretese in quanto il suo vero padre non era il re precedente, Asterione, bensì Zeus. Il re, in preda a disperazione, pregò Poseidone, dio del mare, di inviargli un toro come simbolo dell’apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in suo onore. Poseidone gli donò un possente toro bianco di valore inestimabile. Vista la sua bellezza, però, il re decise di tenerlo per le sue mandrie e ne sacrificò un altro. Poseidone ne venne a conoscenza e, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, dello stesso toro bianco. E qui avvenne il “fatto”.
Pasifae ardeva dal desiderio di essere posseduta dal toro, a tal punto che si fece costruire, da Dedalo, una statua in legno a forma di vacca, ricoperta di pelo, e ci si mise all’interno sperando in una calda unione.
Affresco di Giulio Romano
Fu così che, dall’incontro dei due, nacque una creatura metà uomo e metà toro [ Creautra dal corpo umanoide e bipede, zoccoli e pelliccia bovina, coda e testa toro ] e, come possiamo immaginare, Minosse ideò subito una soluzione per tener nascosta questa grande vergogna.
Egli fece costruire da Dedalo un vero e proprio labirinto, un archetipo, un edificio sotterraneo composto da cunicoli segreti e meandri contorti, dal quale una volta entrati non si poteva più uscirne. Lo stesso Dedalo assieme a suo figlio Icaro, una volta costruito il labirinto, non trovando la via di uscita, pensò di costruirsi delle ali di cera per spiccare il volo ed andarsene finalmente fuori. 📌( Peccato che il figlio volò talmente in alto da raggiungere il calore del sole che le sue ali si squagliarono e precipitò a terra sfracellandosi ) .
Minosse doveva pur “mantenere” questa strana creatura, chiamata Aristeo, dunque, per sfamarlo, ordinò che ogni anno dovevano esser offerti da Atene sette ragazzi e sette fanciulle, come detto prima dell’inizio di questa lunghissima ma doverosa premessa, non me ne vogliate.
Teseo, dunque, una volta venuto alla conoscenza di questo sopruso, decise di partire con i ragazzi sacrificati in offerta al re di Creta, promettendo al padre l’uccisione della creatura ed un rientro in nave con vele bianche a simboleggiarla. Una volta giunto lì però, entra in ballo Arianna, la figlia di Minosse, la quale, vedendolo, se ne innamorò a prima vista. Cosa fece Arianna per salvare il suo amato dalle grinfie della bestia e dai cunicoli segreti del labirinto? Semplice, diede a Teseo un gomitolo di lana da svolgere una volta entrato e da riavvolgere successivamente al momento della sua uscita. Così da conquistarsi l’amore che tanto sognava.
Teseo, da grande eroe fece proprio così, e grazie all’astuzia di Arianna sconfisse la bestia e uscì dal labirinto sano e salvo.
Arianna in balia del suo amore accettò di trasferirsi all’Isola di Nasso ( detta anche Dia ) con lui. C’è un però, Teseo era un amante del genere femminile e di “accasarsi” non è che ne avesse avuto una gran voglia, in più Arianna non le piaceva così tanto. La poveretta venne sedotta ed abbandonata, eh si, avete letto bene, abbandonata. Quando venne sera, Teseo si assicurò che Arianna dormisse profondamente e, con la scusa di andare a prendere delle provviste, prese la sua nave e salpò al largo senza di lei, lasciandola lì, sola con la sua immensa illusione e delusione. Quando s’accorse dell’accaduto oramai Teseo era troppo lontano, inutili furono i suoi pianti. ❗Pianse talmente tanto che Dionisio, per confortarla le donò una corona d’oro, che venne poi mutata dal dio in una costellazione splendente alla sua morte: è la moderna costellazione della Corona Boreale.
In tutto questo però ad Atene c’era preoccupazione, tutti attendevano il rientro di Teseo, il quale in preda ai suoi pensieri “amorosi” dimenticò, assieme al nocchiero, di issare le vele bianche della sua nave. Ricordate che le vele bianche avrebbero dovuto testimoniare la vittoria ed il ritorno dal padre sano e salvo? Sbadato di un Teseo!. Il padre Egeo, allora, vedendo arrivare la nave con le vele nere, credendo il figlio morto, si uccise lanciandosi dal promontorio di Capo Suino,🏖 ~ curiosità ~nel mare che da allora porta il suo nome.
Dopo questo episodio, Teseo, ebbe diverse avventure amorose, ricordiamo ad esempio Fedra o Elena, la stessa Elena che fece scoppiare la guerra di troia. Al contempo prese in mano Atene Menesteo così Teseo dovette chiedere ospitalità al re di re di Sciro, Licomede, che lo gettò con la scusa di fargli vedere tutti i suoi possedimenti dalla scogliera più alta della sua isola, accordatosi con Menesteo. Morì così, Teseo.
Ora, dopo esser venuti a conoscenza di questa storia, vorrei soffermarmi sul suo significato profondo. Abbiamo letto di una bestia, di un labirinto, di un amore, di sconfitte e di vittorie. Ma, come si può portare tutto questo ai giorni d’oggi?. La figura del minotauro, ad esempio, altro non è che la rappresentazione della nostre psiche, composta da razionalità ed istinto primitivo, a volte una delle due prevale sull’altra.
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Ogni giorno viviamo questa costante ricerca del nostro io, combattendo spesso guerre interne senza pari. Una ricerca di noi stessi che è una vera e propria attrazione atavica. Prendiamo atto del fatto che non è affatto facile guardarci in faccia, senza veli. Noi lo abbiamo dentro, il labirinto, che è in realtà il personaggio principale di questo racconto. Esso rappresenta lo sforzo che continuamente compiamo per gestire le nostre risorse, le nostre angosce, le nostre paure, ma rappresenta anche la capacità che abbiamo di ritrovarci, riconoscerci, crescere e trasformarci.
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[ Il labirinto è un luogo terapeutico, protetto, che ci permette di affrontare serenamente il nostro rito di passaggio. All’interno di esso sappiamo già cosa ci aspetta, sappiamo già chi possa aiutarci ad affrontarlo e siamo certi di come muteremo una volta compiuto questo gesto. ] La necessità di far morire il vecchio io, sconfiggendo la parte nostra più primitiva ed intima per rinascere in una nuova luce. La morte e la resurrezione.
– ORFEO, EURISICE, HERMES – ( Bassorilievo in gesso ) L’opera originale si presuppone fosse di ALCAMENE
Oggi desidero condividere con voi una storia che m’affascina da sempre, partendo dalla descrizione di quest’opera meravigliosa che rappresenta per l’appunto i protagonisti della stessa. – HERMES ( in veste di Psicagogo ) ORFEO ( affranto dal dolore ) ed EURIDICE ( la Ninfa dei boschi, eternamente innamorata ) –
La Grecia ed i suoi miti, la storia ed il suo fascino. Quest’opera rappresenta la vera celebrazione del tema della morte, Si presuppone che l’autore dell’originale fosse ALKAMENES, allievo del grande professore di archeologia Jean Charbonneaux. “Un dolore pudico, dove a parlare sono gli sguardi, i movimenti delle loro vesti, la posizione dei loro piedi, le carezze delle loro mani e non le labbra”. Un Orfeo che infrange il patto[ Noli Respicere ] “non guardare”, un Euridice innamorata che cerca di consolare il suo amato accarezzandogli la spalla, trattenuta però da Hermes, lo psicagogo che, anch’esso dispiaciuto ( lo si evince dallo sguardo ), le dice che non può più andare avanti.
L’ineluttabilità della morte.
Ma, di cosa sto parlando esattamente? Della storia di due amati ORFEO di Tarcia, figlio di Eagro ( Apollo ) e della musa Calliope, ed Euridice, Ninfa dei boschi. Orfeo era un cantore, un poeta, un musicista, permettetemi di dirlo, era un gran romanticone, il classico “principe azzurro”. Si dice che andava camminando, suonando e cantando, le sue opere d’amore, e che persino le radici degli alberi ne seguivano i movimenti per ascoltarlo. Orfeo, innamorato perdutamente di Euridice e contraccambiato. Ahimé, non era il solo ad esserlo, sempre se si vuol definire amore, quello del fratello Aristeo; Infatti, lo stesso, approfittò di un momento intimo della bella Euridice, la quale stava facendo un bagno così come madre natura la creò, per tentare di farla sua. In poche parole, le saltò addosso, ma nell’inseguimento che seguì, Euridice, riuscì più volte a sfuggirgli, finché accidentalmente calpestò un serpente velenoso che la uccise con il proprio morso. Euridice entrò così nell’oltretomba ed Orfeo con tutta la sua tenacia decise di andarsela a riprendere. ( come si suol dire? Volere è potere ) Ebbene sì, Orfeo intraprese questa missione, ovvero, la ricerca della via che portasse nel regno delle anime morte, e <<rullo di tamburi>>, la trova! Una piccola apertura di una montagna, proprio nei pressi di Napoli, esattamente a Cuma. Arrivò al Fiume Stige, il quale separava il mondo dei vivi da quello dei morti, dove incontra Caronte [ Caronte era colui che faceva passare al di là del fiume coloro che erano destinati ad andarsene, a patto che gli stessi si presentassero con una moneta da dargli in cambio. ] che lo fece passare. Orfeo non era in possesso di alcuna moneta. Persino il grande mostro, la bestia a tre teste ( Favoloso cane della mitologia greca, custode dell’entrata dell’Ade ) di nome Cerbero, s’accucciò dinanzi al melodioso avanzare di Orfeo. Fino a che, finalmente, giunse ai piedi del trono di Ade, dio degli Inferi, e Persefone, la sua consorte. Orfeo non perse tempo e spiegò subito il motivo per il quale egli si trovava lì, iniziò a chiedere di riavere con sé la sua Euridice. Ade e Persefone si mostrarono faveroveli ma vollero stabilire con lui un patto. Avrebbero ridato Euridice ad Orfeo ma, durante la risalita verso la luce, non avrebbe dovuto assolutamente voltarsi per guardarla in volto fino a che entrambi non sarebbero arrivati nuovamente e completamente alla vita, ovvero, alla luce del sole ( non si potevano guardare le anime dei morti ). Ed è qui che entra in gioco anche Hermes, con il compito si sorvegliare il comportamento di Orfeo lungo tutto il cammino. Dunque, Orfeo riprende la risalita verso la luce seguito da Euridice ed Hermes. Diverse le tentazioni che superò grazie alla forza dell’amore, nel non girarsi. [ Sono divenuta così brutta o non mi vuoi più bene che non mi guardi nemmeno? – le voci che sentiva – Ho tanta voglia di abbracciarti ti prego abbracciami ] Respinse con tenacia ogni parola, fino a che arrivò a toccare nuovamente, con la pelle, la luce del sole, convinto di non essere il solo, si voltò verso la sua amata. Peccato che però, a causa della ferita alla caviglia, data dal morso di quel maledetto serpente, Euridice rallentò il passo e non si trovò in quell’istante esattamente alla luce del sole, vi si trovava ancora a pochi passi da essa.
[ Pensavo a quel gelo, quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravidi il barlume del giorno. Allora dissi “Sia finita” e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. ] “Cesare Pavese, L’inconsolabile, tratto dai dialoghi di Leucò.
“QUIS ET ME INQUIT MISERAM ET TE PERDIDIT ORPHEU, QUIS TANTUS FUROR?” Chi rovinò me misera e te, oh Orpheu, quale pazzia così grande?
Ed ecco che l’opera sopra raffigurata prende “vita” mostrando i più intimi sentimenti dei protagonisti. Orfeo che si volta e scopre di aver perso per sempre la sua amata, Euridice che aveva voler dire a lui << Oh amore mio, hai fatto tutto ciò che potevi fare, grazie>> ed il volto dispiaciuto di Hermes costretto a trattenere la sua mano con fermezza. Quest’opera si può ammirare presso il museo archeologico di Napoli. Due le riproduzioni, Antonio Canova e Auguste Rodin gli autori. Si pensa che l’originale appartenesse alle collezioni di Giovanni Battista Carata, duca di Noja, nel 1700 e successivamente ritrovata a Torre del greco nel 1960 in contrada Sora presso una villa marittima.
Spero di avervi portato con me, almeno per un pochino, in questo storico viaggio, non avendovi perso nel regno di Ade 🙋🏼♀️.
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